Le foto belle non esistono
Ho da poco acquistato un Macbook Pro ricondizionato perché il mio vecchio povero computer ha ormai dieci anni e nonostante non mi abbia mai mollato comincia a risentire di tutto il lavoro che gli ho fatto e gli faccio fare. I software si aggiornano e diventano sempre più pesanti e lui fa quello che può. Così ho fatto questa scelta e se ti stai chiedendo perché sono passata da Pc a Mac la motivazione c’è ed è stata a lungo ponderata, ma non è questo l’argomento di questa nostra chiacchierata.
Questo cambiamento ha fatto sì che finalmente mettessi mano al mio archivio foto e video, non fraintendermi, io tengo tutto perfettamente in ordine, ho un archivio fotografico della mia parte “professionale” gestito interamente da Lightroom e poi ne ho un altro delle mie foto personali, tutte ben in ordine in cartelle suddivise per anni.

Sono partita dall’idea di sistemare soprattutto i video, voglio iniziare ad utilizzare DaVinci Resolve, cosa non facile, e non voglio cominciare sui video dei clienti primo perché ci metterei una vita a consegnarli e poi perché non voglio far danni, quindi vado ancora sul sicuro col mio software che mi mantiene nella confort zone.
Quale migliore occasione, ho pensato, se non sistemare vecchi, vecchissimi video?
Nel mettere tutti i video nell’hard disk esterno per fare il travaso Pc-Mac mi sono anche persa un po’ (bugia non un po’, tantissimo) nel riguardare le mie vecchie foto. Le conosco a memoria ma ogni volta che le riguardo vedo cose nuove e provo cose nuove.
La tipica nostalgia del tempo che passa, sorrisi e malinconia di fronte a certe foto, gioia mista a tristezza… tutte sensazioni strane e contrastanti, ma neanche questa è la storia che vorrei raccontarti oggi.
Quello di cui vorrei parlarti è la riflessione che ho fatto sulle foto, dal punto di vista tecnico, comunicativo, cromatico e di datazione. Guardandole nei loro errori di bilanciamento del bianco, messa a fuoco, caduta di luce, sovrapposizione di fotogrammi, sotto o sovraesposizione e mal composte mi sono chiesta perché mai le trovassi così belle.






Giuro, ho cercato di guardarle sottraendo l’emotività personale.
La fotografia ha cercato di migliorare se stessa: foto più nitide, colori aderenti alla realtà, una costante ricerca della perfezione, termine quanto mai difficile da definire e inquadrare, perfezione per chi? Rispetto a cosa? Ma facciamo finta che la perfezione sia questa, la qualità tecnica, quindi foto sempre più aderenti alla “realtà” (e anche qui concetto sempre un pò vago).
In mezzo a questa splendida qualità, nitidezza estrema, tutto perfettamente a fuoco, dettagli incredibili, colori perfetti ci vengono venduti preset e filtri che tolgono tutto questo e sovrascrivono con i difetti delle foto del passato dal quale la fotografia stessa ha voluto togliersi.
Non è macchinoso tutto questo? E anche un po’ privo di logica?
Quindi perché torniamo “all’imperfezione”? Perché ci piacciono le foto con i difetti vintage?
Ho due teorie: la prima è che siamo stufi gonfi di questo iper-tutto. Bombardati ormai da dieci anni da iper dettaglio, iper nitidezza, iper contrasto, iper colore.
L’altra è che abbiamo uno strano meccanismo psicologico che ci fa apprezzare tutto quello che appartiene al passato anche quando non ha nulla di bello o particolarmente valido, appartenere al passato dona un non so che di valore così, di default.
Tutto sembra più romantico, poetico, di qualità.
Da cosa è dovuta questa percezione? Perché quello che c’era nel passato ci appare sempre meglio di quello che abbiamo oggi?
Io credo che sia perché il passato è fondamentalmente la nostra infanzia e la nostra giovinezza, momenti in cui a NOI sembrava tutto bello, anche se non lo era. Per quanto possiamo aver vissuto un’infanzia o una adolescenza difficili il nostro approccio nei confronti del mondo era pieno di speranze ma soprattutto di spensieratezza.
A volte ho l’impressione che queste foto rappresentino perfettamente quel sentimento e quel periodo della vita dove niente è perfetto, niente è chiaro, niente è nitido. Il passato viene vestito di colori che le vecchie pellicole incarnano perfettamente, con dominanti precise.
L’esempio più lampante del fatto che non amiamo una foto per come rappresenta la realtà sono le foto in bianco nero, la più grande bugia della fotografia, eppure noi la leggiamo come qualcosa di assoluto valore, oltre che di assoluta verità: “quelle si che erano vere foto!”

Ma sono quanto mai lontane dall’essere vere, il mondo non è in bianco in nero, tanto per cominciare con un concetto semplice, poi gli uomini e le donne non stavano seduti apparentemente comodi ritratti sulle loro poltrone, erano in realtà sorretti perché dovevano stare immobili per ore per consentire l’esposizione, agli albori della fotografia. Sempre agli albori le famiglie ritratte felici, o almeno alcune di esse, non lo erano affatto perché alcuni di quei figli erano morti e i loro corpi venivano tenuti seduti e sorretti per consentire una foto ricordo con l’intera famiglia.
Eppure per noi sono foto rappresentative di una realtà sincera e molti considerano le foto in bianco e nero di qualità superiore rispetto al colore che per molti appare spesso “volgare e privo di raffinata qualità”. Cosa che è evidente non essere vera, non è certo il bianco e nero a rendere una foto migliore.
E quindi? In questo caso cosa c’entrano i ricordi d’infanzia, noi non c’eravamo a quei tempi.
Quasi ogni generazione ama un periodo storico in cui non ha vissuto, noi degli anni 80 amavamo gli anni 50, le nuove generazioni amano gli anni 80/90. “Si stava meglio quando si stava peggio”. Perché formuliamo queste frasi? Noi non c’eravamo, come lo sappiamo?
E non siamo neanche nel futuro, perché lo immaginiamo sempre peggio del passato?
Credo sia perché il futuro ci allontana sempre di più dal noi bambini e ci avvicina sempre di più alla fine della nostra strada, anche se mancano ancora tantissimi chilometri (cosa che tutti ci auguriamo).
Si dice sempre che bisogna amare più il percorso della destinazione, la metafora della vita e della strada sono perfette per fare molti paragoni, ma in questo caso noi ci prefissiamo un sacco di mete che mete non sono, sono solo tappe intermedie, la meta è la morte, detta proprio come brutale verità, e ogni passo che facciamo ci avvicina a lei e ci allontana dal noi bambini. La cosa pazzesca è che non sappiamo mai dove sia questo punto di arrivo, nessun navigatore ci dirà mai quanti chilometri mancano.
E così mentre camminiamo e camminiamo, spesso quasi senza neanche sapere il perché, abbiamo nello zaino un sacco di cose che ci mostrano la strada percorsa e ci sentiamo bravi per averla percorsa, e più strada abbiamo fatto più avvertiamo un sottile panico che si mischia alla meraviglia di quanto fatto e quel panico ci ricorda che era terribilmente bello stare lì, nel passato, quando a quel panico non avevi detto manco “ciao”.
Quando guardiamo una foto il nostro giudizio è terribilmente influenzato dall’anno di appartenenza di quello scatto, se qualcuno ci proponesse una foto qualsiasi con un look vintage e ci dicesse che è stata scattata ieri penseremmo “carina, bella, mi piacerebbe ricreare un look così” ma tempo un minuto probabilmente ce la dimentichiamo e la mettiamo insieme all’enorme archivio mentale di immagini che abbiamo nel cervello.
Ma se poi ci dicono “scherzavo, è degli anni 70” improvvisamente tutto cambia, quella foto acquista un valore immediato, non importa quanto bella sia davvero (sempre tenendo conto del vaghissimo concetto di bello).
Chi è quella persona? Quanti anni aveva? E quel posto c’è ancora? Chissà com’è adesso! Chissà chi erano, cosa facevano, dove e come sono adesso, quelle persone.
Quando mai o almeno quanto raramente ci facciamo queste domande guardando foto attuali? Come se una foto dei giorni nostri non meritasse queste riflessioni.
La prossima volta che ti capiterà di guardare una foto prova a chiederti come cambia o cambierebbe il tuo punto di vista conoscendo la data in cui è stata scattata, forse poi comincerai a farti la domanda successiva:
ma cosa rende davvero bella una fotografia? La sua data di nascita? O c’è altro?
Questa domanda me la faccio da anni, e non ho ancora una risposta, non univoca almeno. Quello che so è che una risposta alle mie infinite domande sulla fotografia l’ho trovata: le foto belle non esistono.
