Il Distacco
Ho riflettuto sulla questione di accumulare cose, questa pratica che è una specie di malattia, vista come un male dettato da avidità di possedere tutto, o quasi.
Certo è una lettura corretta della questione, ma non è l’unica lettura possibile.
La mia personale lettura è il distacco.
L’incapacità, la difficoltà, la malinconia, la sofferenza da distacco.
Neanche di fronte alla evidente inutilità di un oggetto, alla sua usura, alla sua morte apparente io riesco a distaccarmi.
Le cose non sono sempre cose, non a casa mia. Esse vivono di anima, corpo ed emotività. Proietto certo su di loro qualcosa di mio ma non sono interessata al risvolto psicologico del mio atteggiamento nei loro confronti, ne sono interessa al giudizio altrui sul valore che attribuisco agli oggetti.
Tutti loro parlano di una vita vissuta, la mia, e non importa certo che io sia l’unica a leggerla e capirla.
Il passato è passato, e io non ho paura del futuro, non troppa almeno, ciò non toglie che sia accettabile per me il distacco dagli oggetti che riempiono i miei spazi, fisici e non.
Quando li guardo mi raccontano di me, di una me che non c’è più ma che non dimenticherò grazie a loro. Mi raccontano di luoghi visti, di odori, di sapori, di persone. Mi raccontano di emozioni vissute che si sono stampate come fotografie su di loro.
Sono boe alle quali la mia mente si àncora, altrimenti sommersa dalle onde costanti della vita che coprono, smuovono, sotterrano.
Quindi sì, io accumulo o, forse, dovrei dire trattengo.
Sì ecco, io trattengo.